The Real Price of Art campaign è la campagna UNESCO, lanciata alcune settimane fa, per evidenziare il tema del traffico e dei furti di opere d’ arte.
Secondo l’agenzia educativa, scientifica e culturale dell’Onu, il commercio illecito di beni culturali rappresenta quasi 10 miliardi di dollari all’anno e denuncia che «Questo traffico, alimentato dal saccheggio a volte altamente organizzato di aree archeologiche, costituisce una delle principali fonti di finanziamento per le organizzazioni criminali e terroristiche e depreda i popoli della loro storia e identità».
Nemmeno la pandemia Covid-19 ha fermato gli affari illeciti, anzi il controllo ridotto di musei e siti archeologici ha alimentato il fenomeno: «L’attrazione per mosaici, vasi funerari, sculture, statuette o antichi manoscritti non è mai stata così forte. Questa pressione della domanda sta contribuendo ad alimentare il mercato illegale di opere d’arte e oggetti d’antiquariato, che ora opera in gran parte online, attraverso piattaforme che spesso trascurano la provenienza originale degli oggetti».
Attualmente i flussi illeciti di beni culturali sono ora al terzo posto, in termini di volume, dopo quelli di droga e armi.
«Il furto, il saccheggio e il traffico illecito di beni culturali sono reati.» si legge sul sito dove è possibile vedere tutte le iniziative promosse « Il traffico priva le persone della loro storia e cultura, indebolisce la coesione sociale a lungo termine. Alimenta la criminalità organizzata e contribuisce al finanziamento del terrorismo».
Sin dalla sua fondazione, l’UNESCO ha sviluppato strumenti legali di riferimento, inclusa la Convenzione del 1970, il culmine di un lungo processo di riflessione sulla lotta al traffico illecito di beni culturali.
«È un dovere collettivo agire contro il traffico illecito di beni culturali e proteggere il patrimonio culturale».
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