Il restauro è sempre stato il connubio perfetto di arte e scienza, fin dagli albori. Le tecniche e le tecnologie attuali ne sono sicuramente una prova.
La microbiologia, ad esempio, sta assumendo un ruolo centrale nel settore dei beni culturali: dallo studio del deterioramento delle opere d’arte al biorestauro.
L’impiego di microrganismi e dei loro prodotti come supporto o alternativa ai tradizionali metodi di restauro, è una realtà consolidata.
Oltre a proteggere la salute degli operatori e preservare al meglio l’integrità dell’opera, la pulitura e il restauro attraverso batteri è stata sperimentata con successo già da diversi anni.
Ad ipotizzare l’impiego dei microrganismi per il restauro dei beni culturali furono due inglesi, Anne Moncrieff e Kenneth Hempel del Victoria and Albert Museum di Londra. Nel 1970 i due restauratori avevano scoperto che alcuni ceppi batterici potevano degradare le cosiddette “croste nere” che spesso si formano sui monumenti.
Oggi il biorestauro è applicato su marmi e tele, attraverso tecniche di microscopia e colture microbiche; i ricercatori mappano l’intero microbiota, ossia i batteri, i funghi e altri micro organismi, individuando i ceppi e rimodulando poi la loro presenza sull’opera da restaurare.
Un vero e proprio “impacco di batteri” come micro-pulitori al servizio di affreschi, dipinti murali e dipinti mobili (tela e legno), materiale lapideo, carta, lastre calcografiche.
Indubbiamente molti i vantaggi, come:
assenza di effetti tossici per gli operatori
sicurezza per l’opera d’arte
compatibilità con il materiale costitutivo
compatibilità ambientale.
In Italia, il laboratorio di Microbiologia Ambientale e biotecnologie microbiche dell’ENEA ha da tempo sviluppato un processo biotecnologico utile al biorestauro, con una selezione, denominata “ENEA-Lilith”, costituita da circa 500 ceppi spontanei con caratteristiche di interesse biotecnologico.
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